Sostenibilità, l’Europa tenta di dare peso e uniformità al reporting delle aziende

Accordo tra Parlamento e Consiglio europeo sul reporting non finanziario delle imprese. Ma per l'applicazione concreta si dovrà aspettare

Giulia Tosetti
L'Unione europea sta per introdurre nuove regole sul reporting non finanziario delle aziende © megaflopp/iStockPhoto
Giulia Tosetti
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Il Parlamento ed il Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo preliminare sulla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Ovvero sulla normativa che disciplina i criteri e le modalità sulla cui base le aziende devono rendicontare l’aderenza delle loro attività a determinati criteri di sostenibilità. La nuova direttiva andrà a modificare la precedente Non-Financial Reporting Directive (NFRD, 2014/95/EU). Principali obiettivi: arginare il greenwashing, aumentare trasparenza e comparabilità e, da ultimo, permettere l’implementazione del Piano d’azione per la finanza sostenibile e il Green Deal

Il nodo della “rilevanza” del reporting non finanziario

Manca a questo punto l’approvazione formale da parte del Parlamento e del Consiglio. Pascal Durand (deputato francese del gruppo centrista Renew Europe che ha condotto i negoziati per il parlamento) ha sottolineato che «avere un bilancio pulito sui diritti umani sarà importante tanto quanto avere un bilancio pulito». Stesso vale per ambiente e governance. In altre parole, la reportistica non-finanziaria deve “raggiungere” quella tradizionale in quanto a rilevanza per gli stakeholder, in primis gli investitori.

Le principali novità riguardano il campo di applicazione, la revisione, gli standards di reporting, il tag digitale e, last but not least, l’introduzione del concetto della doppia materialità. Tutte le grandi società e tutte le società quotate nei mercati regolamentati (escluse le microimprese quotate) saranno soggette alla CSRD. Nello specifico: 

  • dal 1 gennaio 2024 per le società già soggette alla direttiva sull’informativa non finanziaria;
  • dal 1 gennaio 2025 per le grandi imprese che attualmente non sono soggette alla direttiva sull’informativa non finanziaria;
  • a partire dal 1 gennaio 2026 per le piccole e medie imprese quotate, gli enti creditizi di piccole dimensioni e non complessi e alcune imprese di assicurazioni;
  • mentre le altre piccole e medie imprese possono aspettare fino al 2028. 

Anche le aziende non europee con un fatturato netto di 150 milioni di euro all’interno dell’Unione europea, e che hanno almeno una filiale o una succursale nel Vecchio Continente, saranno soggette alla direttiva.

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Il reporting non finanziario deve diventare altrettanto importante rispetto a quello legato ai meri risultati operativi © AndreyPopov/iStockPhoto

Le novità previste nella rendicontazione non finanziaria

Le informazioni riportate devono essere sottoposte ad una revisione indipendente. La rendicontazione dovrà essere basata sugli standard obbligatori di rendicontazione della sostenibilità dell’Unione europea, gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS). È in corso la consultazione pubblica, aperta fino all’8 agosto 2022, sul primo set di indicatori ESRS preparato dall’Efrag (il Gruppo consultivo di esperti finanziari a cui si è affidata Bruxelles). La prima serie di standard dovrebbe essere adottata entro ottobre 2022. 

Le aziende dovranno “taggare” digitalmente le informazioni riportate. In modo che siano leggibili da una macchina e confluire nel punto di accesso unico europeo previsto nel piano d’azione dell’unione dei mercati dei capitali. Le aziende inoltre dovranno rispondere a requisiti di rendicontazione più dettagliati. Ad esempio in merito ai piani di transizione ecologica ed i processi di due diligence adottati dall’azienda.

Il concetto della doppia materialità e il nesso con la rendicontazione sulla sostenibilità

Il concetto della doppia materialità è di fondamentale importanza per una rendicontazione efficace e completa sulla sostenibilità di un’azienda. Esso, infatti, include non solo gli aspetti finanziari, ma gli impatti dell’azienda sull’esterno quindi sulla società e l’ambiente (la cosiddetta prospettiva inside-out). E ovviamente anche le performance dell’azienda (prospettiva outside-in).

La CSRD è stata accolta con favore in modo trasversale ma trasversale è anche la sensazione di un’occasione mancata. Sarebbe stata preferibile un’applicazione più immediata sia per le società già soggette che per le piccole e medie imprese. E le disposizioni per quest’ultime sono state giudicate deboli.

Atteso il voto della Commissione giuridica del Parlamento europeo

Da un lato, l’applicazione dal 2028 può avere conseguenze negative su queste aziende, per esempio difficoltà nell’accesso al credito (poiché in futuro i flussi di denaro potrebbero essere legati anche a criteri di sostenibilità). Dall’altro viene escluso un insieme di aziende che coprono un’ampia fetta di mercato. E di conseguenza responsabili di impatti considerevoli su ambiente, dato che alcune di queste imprese operano in settori altamente inquinanti, e società. 

Il Comitato permanente dei Rappresentanti degli Stati membri (Coreper) ha già votato a favore. Mentre la Commissione giuridica del Parlamento europeo voterà oggi, giovedì 14 luglio. Cominceranno poi gli step formali di azione che porteranno alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.