Il Nasdaq impone donne e minoranze nei consigli d’amministrazione

Le minoranze dovranno essere meglio rappresentate nelle aziende che fanno parte del Nasdaq. Ma la distanza con gli uomini resta enorme

Il numero di donne nei consigli d'amministrazione è ancora nettamente inferiore rispetto a quello degli uomini © monkeybusinessimages/iStockPhoto

Il consiglio di amministrazione di ogni singola società quotata al Nasdaq dovrà dare spazio a donne e minoranze. È quanto prevede una nuova norma sulla diversity (diversità di genere) proposta dallo stesso Nasdaq e accolta, ad agosto, dalla Securities and Exchange Commission (Sec), l’equivalente a stelle e strisce della nostra Consob.

Come funziona la nuova regola sulla diversity

Nella piazza borsistica del Nasdaq sono quotate circa 3 mila società, prevalentemente nell’ambito della tecnologia. In futuro, nel consiglio di amministrazione di ciascuna di esse dovranno sedere almeno due membri che assicurino la diversity. Il primo dovrà essere donna, il secondo Lgbtq+ o appartenente a una minoranza etnica. Tutto ciò dovrà essere rendicontato pubblicamente. E chi non adempirà a questo requisito dovrà spiegare il perché.

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«Queste regole permetteranno agli investitori di maturare una migliore conoscenza delle società quotate al Nasdaq», ha dichiarato tramite una nota Gary Gensler, già presidente della Commodity Futures Trading Commission durante l’amministrazione di Barack Obama, poi messo alla guida della Sec da Joe Biden. «Siamo impazienti di lavorare con le nostre aziende per implementare questa nuova regola per la quotazione e stabilire un nuovo standard per la governance d’impresa», si legge in una nota del Nasdaq.

Il Nord Europa dà l’esempio, gli Usa arrancano

«In realtà la genesi di questa misura ha richiesto diversi anni», spiega la Ceo del Nasdaq Adena Friedman. Intervistata dal Wall Street Journal, indica gli Stati del Nord Europa come esempi, capaci di sancire standard «molto efficaci» e garantire così un’equa rappresentanza femminile ai vertici aziendali. Gli Usa appaiono ben più in ritardo: se questa soglia fosse già in vigore, infatti, tre società su quattro non la raggiungerebbero.

A dirlo è una ricerca condotta dallo stesso Nasdaq e citata da Forbes. «Ma francamente credo che quest’anno, con tutte le esperienze che abbiamo vissuto, abbia davvero aumentato la consapevolezza del mondo imprenditoriale americano sui benefici della diversità. Pensiamo che questo sforzo sia uno di quei passi importanti con cui il Nasdaq può aiutare a fare la differenza», conclude Friedman.

Quanto spazio c’è per le minoranze nei board

C’è un istituto, chiamato Alliance for Board Diversity (ABD), che dal 2004 si occupa di monitorare la diversità nei consigli di amministrazione delle aziende americane. L’indagine più recente, effettuata in collaborazione con Deloitte e pubblicata il 30 giugno 2020, mette in luce un miglioramento. Graduale, ma è pur sempre un miglioramento. Quindici anni fa, nei cda delle aziende del Fortune 100 (le cento più grandi imprese Usa per fatturato) l’83,1% dei posti era occupato da uomini e il 16,9% da donne. Oggi il rapporto è di 71,8% contro 28,2%. Nello stesso periodo, la presenza delle minoranze etniche è passata dal 14 al 20,6%.

Consiglio d'amministrazione Stati Uniti minoranze diversità di genere
Le donne continuano ad essere sotto-rappresentate nei consigli d’amministrazione delle grandi aziende degli Stati Uniti © skyNext/iStockPhoto

Si oppongono le frange conservatrici 

La norma sulle minoranze introdotta dal Nasdaq «inevitabilmente spingerà le aziende, nella scelta dei membri del board, a mettere in secondo piano fattori cruciali come la conoscenza, l’esperienza e le competenze». L’obiezione arriva da Pat Toomeymembro del Senate Banking Committee. Repubblicano, come l’unico dei cinque commissari della Sec (presidente compreso) a votare no.

Per gli stessi motivi, la Alliance for Fair Board Recruitment ha impugnato la decisione della Sec, chiedendone una revisione da parte di una corte d’appello federale. L’organizzazione fa capo al conservatore Edward Blum, già noto per aver cercato – invano – di impedire alle università del Texas e di Harvard di prendere in considerazione l’appartenenza etnica nell’iter di selezione degli studenti, al fine di garantire un’equa rappresentanza. «Le quote legate all’etnia, al genere e all’identità sessuale richieste dal Nasdaq sono ingiuste e illegali – dichiara Blum tramite una nota –. Questa norma viola la Costituzione e le leggi sui diritti civili della nostra nazione e dovrebbe essere annullata dai tribunali senza indugio».

La diversità è un investimento vincente

I numeri però sembrano raccontare una storia diversa. Due docenti della Cass Business School hanno passato in rassegna 146 incidenti di cattiva condotta in cui erano coinvolte 83 banche quotate in Europa. Risultato: gli istituti più conformi alle regole sono quelle con una maggiore rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione. Meno incidenti significa anche meno sanzioni, con un risparmio di quasi 7,5 milioni di dollari all’anno.

In poche parole, Diversity Wins, come titola uno studio della società di consulenza McKinsey. In questo caso il database di partenza è ancora più vasto, con oltre mille grandi corporation in una quindicina di Stati. Anche stavolta le conclusioni sono inequivocabili. Le aziende nel primo quartile per diversità di genere hanno il 25% di probabilità in più di ottenere rendimenti finanziari migliori rispetto a quelle nell’ultimo quartile.

Una differenza di performance che appare ancora più marcata – si parla addirittura del 35% – quando si esamina la diversità etnica. Il cambiamento, però, procede a due velocità. Nell’arco degli ultimi cinque anni, circa un’azienda su tre ha compiuto ammirevoli passi avanti in materia di diversità. Viceversa, tutte le altre sono rimaste immobili. Se nemmeno la prospettiva di guadagnare di più è bastata per spronarle, vorrà dire che ci penseranno le normative.