Così le multinazionali americane sostennero il golpe in Cile contro Allende

50 anni fa un golpe rovesciò il presidente del Cile Salvador Allende, instaurando un brutale regime fascista. Ecco chi ci guadagnò

Una statua di Salvador Allende a Santiago del Cile © David Berkowitz/Flickr

L’11 settembre 1973 fu un momento storico per il Cile e il mondo intero. Ma quando la capitale Santiago si svegliò quella mattina, in pochissimi lo sapevano. Quel giorno il generale Augusto Pinochet pose fine con un golpe all’esperienza di governo del socialista Salvador Allende. Le conseguenze del colpo di stato furono drammatiche per la nazione sudamericana – sprofondata in un ventennio di feroce dittatura – ma si riverberarono anche sul resto dell’emisfero occidentale.

Da un lato l’11 settembre segnò l’inizio di un ciclo di colpi di stato che insanguinò l’intera America Latina. Dall’altra gli esperimenti economici del governo Pinochet – guidati dal gruppo di economisti noto come Chicago Boys – diede un’accelerata fondamentale alla diffusione del neoliberismo in buona parte del mondo.

È difficile, insomma, sottovalutare l’importanza di quella giornata, anche guardando al di là dei confini cileni. Per questo, a cinquant’anni dai fatti, ancora si dibatte sulle responsabilità dell’abbattimento della democrazia nella nazione sudamericana. L’esercito cileno non fu infatti solo quella mattina. In suo supporto si erano mossi i servizi segreti degli Stati Uniti d’America e alcune grosse multinazionali. Proprio il rapporto tra i golpisti cileni e la grande industria globale è uno dei pezzi meno raccontati di quella complessa vicenda.

Prima del golpe: rame e soldi

L’economia cilena, come quella di molte altre nazioni sudamericane, si regge e si reggeva in larga parte sull’esportazione di materie prime. E negli anni Settanta il bene cileno più richiesto sul mercato era di gran lunga il rame.

Prima del 1964 le attività estrattive erano gestite da due multinazionali statunitensi: la Anaconda Copper Company e la Kennecott Utah Copper. Il presidente democristiano Eduardo Frei, predecessore di Allende, aveva iniziato un processo di parziale nazionalizzazione. Un programma contestato dalle sinistre, che denunciavano le condizioni inique che il governo aveva dovuto accettare contrattando con le aziende del settore.

Per questo motivo il governo di Salvador Allende varò una riforma costituzionale che permetteva la nazionalizzazione completa e senza indennizzo. Nel 1971 per la prima volta il rame cileno è interamente in mano pubblica.

Proprio la nazionalizzazione delle industrie strategiche sarà una delle scelte che gli oppositori interni ed esterni non perdoneranno ad Allende. E Pinochet, una volta al potere, ricompenserà le aziende che a suo tempo si erano opposte al governo democraticamente eletto. Anaconda Copper Company ritorna a operare in Cile nel 1979, e l’esecutivo gli accorda una compensazione da 250 milioni di dollari.

Nemmeno l’ultra-liberista Pinochet, però, smantellerà del tutto la CODELCO, l’azienda di Stato che aveva rilevato alcuni dei principali siti estrattivi nell’era Allende. Il suo contributo alle casse pubbliche venne ritenuto decisivo persino dai Chicago Boys.

Il piano ITT

È l’abbondanza di materie prime, dunque, a rendere centrale il Cile nello scacchiere globale. Ma sarà un’altro settore a giocare un ruolo chiave nella destabilizzazione che precede il golpe: le telecomunicazioni. Quando la sinistra si insedia alla Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago del Cile, il 70% della società di telefonia e telegrafia locale è di proprietà di una multinazionale statunitense, la ITT Corporation.

Già da prima delle elezioni del 1970, quelle che porteranno alla vittoria di Allende, l’azienda si spese per aiutare le destre. ITT prima comprò El Mercurio, uno dei principali quotidiani del Paese, spingendolo su posizioni nazionaliste ed ostili a qualunque forma di politica sociale. Poi finanziò in segreto alcuni esponenti del conservatorismo locale. Nei tre anni di governo Allende, in particolare, la multinazionale offrì denaro agli oppositori del governo – anche ad alcuni tra coloro che animeranno il golpe del 1973. Si parla di cifre non inferiori agli 8 milioni di dollari.

Non solo: documenti desecretati decenni dopo i fatti hanno rivelato come ITT avesse offerto al governo americano un contributo milionario in caso di caduta del governo Allende. Un’offerta rifiutata dalla presidenza Nixon, ma il diniego non impedì a ITT di sapere con largo anticipo dell’imminente golpe – come rivela un cablo della diplomazia americana reso pubblico alcuni anni fa. Lo stesso cablo è considerato una delle prove della complicità statunitense nel colpo di stato.

Le banche amiche di Pinochet

Anche grazie al supporto di aziende complici, dunque, la giunta militare arrivò al potere. Se politicamente il Cile diventò in quel momento simile alle dittature fasciste degli anni Trenta in Europa – durissima repressione dei movimenti sociali, censura, uso sistematico della tortura – è dal punto di vista economico che l’esperienza di Pinochet si rivelò piena di novità.

Ispirati dalle teorie economiche dello statunitense Milton Friedman, gli esperti di riferimento del nuovo governo immaginarono un Cile a misura di azienda, con i servizi di base privatizzati e il sistema fiscale adeguato alla necessità di attrarre investimenti esteri

Scelte che faranno la fortuna di molti grandi gruppi. E quegli stessi gruppi si dimostreranno pronti a ricambiare il favore. Lo conferma uno scandalo esploso nel 2005, con Pinochet ormai estromesso dal potere cileno. Una rete di banche, soprattutto statunitensi, aveva nascosto per decenni i beni del dittatore – in gran parte trafugati. Tra gli istituti finanziari coinvolti figurano nomi come Citigroup e Riggs e Coutts & Co, all’epoca di proprietà della spagnola Santander. Anche la magistratura di Madrid, nei primi anni del millennio, indagò sulla vicenda.

Il Cile 50 anni dopo

Il Cile del 2021 è un Paese profondamente diverso da quello degli anni di Pinochet. La democrazia parlamentare e il multipartitismo sono tornati negli anni Novanta, assieme alla fine della polizia segreta e delle torture per gli oppositori. Nel 2019 un ciclo di dure proteste ha portato alla ribalta tematiche sociali rimaste ai margini per decenni, e nel 2022 un presidente di sinistra, Gabriel Boric, è tornato alla Moneda. Il primo dai tempi di Allende.

Ma molto è rimasto in eredità dagli anni della dittatura. Non solo le forze armate non hanno mai del tutto ripudiato il golpe: la Costituzione è ancora quella voluta da Pinochet, malgrado i tentativi di riforma, e molto dell’economia cilena rimane fedele all’impostazione iper-liberista dei Chicago Boys.

Le grandi aziende spaventate dalle nazionalizzazioni vinsero insomma quella battaglia. E il costo viene pagato tutt’oggi dai cittadini cileni.