Immigrati: le banche USA abbandonano le carceri private

Bank of America taglia per scelta "etica" i fondi alle carceri private che "ospitano" immigrati e detenuti. Un business miliardario travolto da enormi polemiche

Matteo Cavallito
Una manifestazione per i diritti degli immigrati a Los Angeles nel maggio 2006 © Jonathan McIntosh/Wikimedia Commons
Matteo Cavallito
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Tagliare i fondi alle carceri private USA che “ospitano” immigrati irregolari e detenuti comuni. È la svolta annunciata in questi giorni da Bank of America (BofA). Un provvedimento destinato ad alimentare un dibattito politico sempre più acceso mettendo ulteriore pressione alle compagnie che da anni gestiscono il business della detenzione.

«In mancanza di ulteriore chiarezza giuridica e politica, e riconoscendo le preoccupazioni dei nostri dipendenti e degli azionisti, è nostra intenzione chiudere i nostri rapporti (con il settore, ndr)», ha dichiarato un portavoce della banca, ripreso dalla CNN. La decisione, riferisce Bloomberg, è frutto di un’analisi condotta dal comitato ESG (Enviroment, social, governance). Chiamato a valutare l’impatto delle attività della banca in campo ambientale, sociale e di gestione di impresa. Una scelta “etica”, insomma.

Gestione immigrati nel mirino

Secondo il Miami Herald, Bank of America aveva finanziato in passato la Caliburn International. L’unica azienda statunitense for profit a gestire centri per immigrati minorenni non accompagnati. Sostenuta con un prestito da 380 milioni e una linea di credito da 75 milioni, Caliburn gestisce un centro ad Homestead, in Florida. I cui residenti, tutti di età compresa tra i 13 e i 17 anni, sono aumentati dell’81% da febbraio fino a sfiorare quota 2.500.

Lo stop ai finanziamenti di Bank of America segue l’esempio di altri investitori che hanno detto addio al business della carcerazione privata. A marzo JP Morgan ha annunciato di aver chiuso i rubinetti del credito per GEO Group e CoreCivic, le due maggiori società del settore negli USA. Un provvedimento, ricorda Forbes, che ha impattato negativamente sul prezzo dei due titoli a Wall Street. In passato, altri operatori come hedge funds, fondi pensioni e università avevano già disinvestito dal settore.

Un nuovo clima politico negli USA?

La scelta di Bank of America avviene in un momento particolarmente caldo nella discussione politica sulla detenzione privata e sul fenomeno migratorio negli USA. Le polemiche sul centro di raccolta per immigrati irregolari di Clint, Texas, dove 250 bambini erano ospitati in pessime condizioni, e le tristemente note immagini di morte dal Rio Grande alimentano crescenti polemiche attorno alle politiche di Donald Trump. Il senatore e candidato alle primarie democratiche per le presidenziali 2020 Bernie Sanders è intervenuto duramente sulla questione. Promettendo, in caso di elezione, di «cancellare tutto ciò che Trump ha fatto per demonizzare e danneggiare gli immigrati».

Ancor più incisivo il commento della collega Elizabeth Warren. Che, nelle scorse settimane, ha proposto l’abolizione dei contratti d’appalto ai privati per la gestione delle prigioni e dei centri di detenzione negli USA.

Un business miliardario dagli anni ’80

La carcerazione privata negli Stati Uniti è stata introdotta ufficialmente nel 1983 con il primo contratto siglato dalla Corrections Corporation of America (CCA). Azienda di Nashville, Tennesse, nota oggi come CoreCivic. Un anno più tardi un nuovo appalto viene affidato a GEO Group, una società di Boca Raton, Florida, che opera oggi anche nel Regno Unito, in Australia e in Sudafrica, dove gestisce un carcere da 3 mila posti a Makhado, vicino alla frontiera con lo Zimbabwe.

Quotate a Wall Street fin dagli anni ’90, e due società continuano a dominare il mercato a stelle e strisce. CoreCivic ha chiuso il 2018 con 1,84 miliardi di ricavi (contro gli 1,77 dell’anno precedente). GEO Group, nello stesso periodo, ha registrato un fatturato di 2,33 miliardi, 68 milioni di dollari in più rispetto al 2017.

Secondo le cifre ufficiali fornite nel 2016 dalla Casa Bianca, negli Stati Uniti le persone in stato di detenzione sono 2,2 milioni, quattro volte e mezzo rispetto al dato del 1980. Le compagnie private – più di 3.000 secondo l’organizzazione no profit Urban Justice Center di New York, tra i gestori delle 130 strutture appaltate e i fornitori di servizi vari – si mangiano da sole oltre la metà del budget federale complessivo destinato al sistema carcerario. Per un valore totale superiore ai 40 miliardi di dollari.

Migranti in mano ai privati

E gli immigrati in attesa di asilo? In tre casi su quattro, spiega ancora l’associazione newyorchese, si trovano in centri di detenzione privata. Il loro numero, nel frattempo, è in costante crescita. Nel maggio 2018 la media giornaliera degli individui detenuti sotto il controllo della Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia federale che si occupa degli ingressi, viaggiava sulle 41mila unità, l’8% in più rispetto all’anno precedente. Nel marzo 2019 è stata superata per la prima volta quota 50mila.

Dati in controtendenza rispetto all’Europa dove, nonostante le opportunità offerte ai privati dal Decreto Sicurezza introdotto in Italia, il trend generale segnala una contrazione del business privato in Scandinavia oltre che in Austria e Svizzera. Decisive, nella svolta austriaca che ha ricondotto la gestione dei migranti sotto il controllo governativo, le polemiche sulle condizioni dei servizi offerti dai privati. Una vicenda che aveva interessato il centro di Traiskirchen, nel nord-est del Paese, e che, secondo il quotidiano USA Today, evidenziava palesi analogie con il contestato modello americano.