L’Egitto di al-Sisi in un turbine di miliardi, armi e diritti violati

Da anni numerosi Paesi fanno affari vendendo armi all'Egitto di al-Sisi. Italia compresa. Ecco cosa compra Il Cairo e da chi

Tra Israele e Hamas, l'Egitto è sotto stress

Dalle Alpi alle Piramidi, da Oltreoceano a Mosca, si affollano equilibrismi all’ombra della sfinge armata: sfinge armata di nome e di fatto. Equilibrismi d’Egitto, scossi in queste settimane dall’innesco di un’azione di guerra asimmetrica da parte di Hamas. L’alba del 7 ottobre scorso si traduce in sangue. Sangue che si sparge a cavallo del perimetro circondariale della striscia di Gaza. Nel suo lembo meridionale, a Rafah, è subito Sinai, meta di un possibile esodo di profughi palestinesi in fuga dai bombardamenti di Tel Aviv. Esodo subito negato dal Cairo, tuttavia, proprio mentre l’esponenziale dei morti viaggia di pari passo con la controffensiva delle forze armate di Israele.

Un nuovo “stress test” piomba così nelle stanze del governo egiziano, già strozzato da una verticale crisi economica. E da una morsa: da una parte il Fondo monetario internazionale (Fmi) che, nel dicembre 2022, ha concesso un credito di 3 miliardi di dollari da ripagare in 46 mesi. E chiede riforme in cambio. Dall’altra i Paesi del Golfo persico, diventati creditori sempre più esigenti.

Il leader egiziano, il golpista Abdel Fattah al-Sisi, ha insomma di che interrogarsi. A luglio scorso, il suo regime ha compiuto dieci anni. Un decennio controverso e armato da molti. A questo mastro di chiavi del canale di Suez, vera arma segreta del Paese, tocca adesso una partita ardua, anche se amici e simpatizzanti non mancano. Certo – come da regola – per nulla disinteressati: a partire dalla Russia di Vladimir Putin, passando per Italia, Francia, Germania, fino alla Casa Bianca del democratico Joe Biden. Fra questi, tanti sostenitori della difesa dei diritti umani a giorni alterni.

Le concessioni di Washington sui diritti umani in Egitto

Appena nello scorso settembre, ad esempio, giunge proprio da Oltreoceano l’ok a un bell’assegno ad al-Sisi. Probabilmente, gli Usa non vogliono lasciare campo aperto alla Russia che, come vedremo più avanti, detiene il primato di commesse per armamenti al Cairo.

La scelta di Washington, comunque, si realizza solo grazie ad una forzatura, subito stigmatizzata tra gli altri da Human Rights Watch (Hrw). In sostanza, pur di finanziare al-Sisi, gli Stati Uniti soprassiedono sul mancato rispetto dei diritti umani in Egitto: e lo dicono pure. Il 14 settembre, infatti, il dipartimento di Stato statunitense annuncia che il governo fornirà 235 milioni di dollari ad al-Sisi. Al tempo stesso, si ammette che la somma – uno stanziamento militare dell’anno fiscale 2022 – avrebbe potuto essere trattenuta. Nel biennio precedente, non a caso, l’amministrazione a stelle e strisce aveva bloccato 130 milioni di dollari in disponibilità militari all’Egitto. La ragione? L’insufficiente azione governativa, da parte del Cairo, per il rispetto dei diritti umani nel Paese.

Il 14 settembre, però, Washington ci ripensa e rinuncia «ad alcune condizioni relative ai diritti umani» in nome dell’interesse «della sicurezza nazionale». Firmato, il segretario di Stato Antony Blinken. La vicenda è ancora oggetto di dibattito e accuse negli Usa.

«Dagli Stati Uniti una falsa scelta tra sicurezza nazionale e diritti»

«I funzionari statunitensi – dice Nicole Widdersheim, vice direttrice di Washington di Human Rights Watch – stanno creando una falsa scelta tra sicurezza nazionale e diritti umani». Hrw ricorda che il Cairo avrebbe dovuto compiere «passi costanti ed efficaci» per proteggere la libertà di espressione, associazione e riunione, responsabilizzando le forze di sicurezza.

Al contrario, il regime di al-Sisi ha infilato una serie di azioni in senso contrario: dalle detenzioni arbitrarie alle ritorsioni contro dissidenti e attivisti, dalle restrizioni onerose alla registrazione e al funzionamento delle organizzazioni non governative, dai limiti all’uso dell’elettricità con tagli giornalieri di energia a livello nazionale alla dichiarata irresponsabilità per abusi militari e di polizia. Sino ai crimini di guerra nel Nord Sinai e al respingimento dei civili in fuga dal conflitto armato in Sudan. Tutto questo, a rigor di memoria, compresi tortura e assassinio del cittadino italiano Giulio Regeni.

Armi all’Egitto di al-Sisi. Italia ancora in gioco per 12 miliardi di dollari?

Se persino gli Usa soprassiedono sul rispetto dei diritti umani all’ombra delle Piramidi, nulla di strano se anche tra il committente Egitto e l’appaltatore Italia si respiri aria di affari. Armati. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), infatti, per il 2024 sarebbero già in ballo 3 miliardi di dollari per l’acquisto di ventiquattro caccia Eurofighter Typhoon-2 da parte del Cairo.

Alcune valutazioni prezzano questo caccia multiruolo – frutto di un progetto europeo di difesa – tra i 50 e 60 milioni di dollari, ma solo se acquistato da committenti dell’Unione europea. In caso contrario, il costo sale ben oltre i 100 milioni di dollari. Ebbene, qui si tratterebbe di 24 velivoli a 125 milioni cadauno, compreso perfezionamento dell’ordine – appunto – entro il prossimo anno.

L’affare è di per sé clamoroso ma, a quanto pare, sarebbe solo una parte di una super commessa stellare. Infatti, Sipri ricorda che i 24 Eurofighter Typhoon-2 rientrano in negoziati di ben altro valore, maturati durante l’esecutivo di Mario Draghi. A tutt’oggi, con una tempistica ancora incerta, l’esito positivo di questi negoziati realizzerebbe una super operazione commerciale. Trattasi di quattro Fregate Europee Multi Missione (FREMM) e di alcuni Pattugliatori Polivalenti di Altura (PPA), con presumibile casa madre Fincantieri. Venti caccia leggeri multiruolo per addestramento M-346 ed elicotteri per il trasporto medio/utilitario AW-149. Ciliegina sulla torta, della commessa farebbe parte anche un satellite di osservazione per sorveglianza e ricognizione.

Totale? Dai 10 ai 12 miliardi di dollari. Ora, con la guerra in corso tra Israele e Hamas e, soprattutto, con le relative incognite per le conseguenze sugli equilibri dell’intera area mediorientale, c’è da capire quanto Roma e il Cairo restino sulla stessa lunghezza d’onda: diritti umani o meno.

Podio al Cremlino, medaglia d’argento all’Italia

In attesa degli esiti dei suddetti accordi e negoziati, comunque, la realtà sul “già accaduto” è ormai storia. Secondo i registri commerciali vagliati da Sipri, relativi agli importi effettuati in Egitto da vari fornitori, tra il 2013 e il 2022 l’Italia è stata protagonista di un vero e proprio sprint. Tra l’altro, per consegne effettuate, il dato si consolida tra il 2020 e il 2022, in un campo da gioco pieno zeppo di concorrenti. Tra il 2013 e il 2022, infatti, l’Egitto ha acquistato armi da Canada, Cina, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Francia, Germania, Giordania, Italia, Paesi Bassi, Russia, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica.

I dati di Sipri visualizzano l’exploit del made in Italy. Nel periodo 2013-2017, dal primo al terzo posto i venditori di armi all’Egitto sono Francia (con il 36,4% di importato dal Cairo), Usa (24,3%), Russia (22%), mentre l’Italia è fanalino di coda (0,3%). Tra il 2018 e il 2022, invece, al primo posto spicca la Russia (33,6%), al secondo l’Italia (19,3%), al terzo la Francia (19,01%), al quarto la Germania (16,3%). Secondo Sipri, l’incremento italiano sarebbe adducibile alla vendita delle prime due Fregate (FREMM).

I dati sull’export di armi made in Italy, verso l’Egitto e non solo

Se, in termini di valore, le vendite di armi all’Egitto sono dunque raddoppiate dal 2021 (35 milioni) al 2022 (72,7 milioni), la Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, riferita all’anno 2022 (Doc. LXVII, n. 1) della Camera dei deputati riporta l’ottimo trend del made in Italy. Sottolineando – tra l’altro – l’autorevolezza e l’indipendenza di Sipri per la raccolta dati e analisi sul commercio mondiale di armi.

Fra i Paesi destinatari delle esportazioni italiane nel 2022, «la Turchia sale al primo posto con 598,2 milioni di euro, in notevole aumento rispetto ai 41,5 milioni di euro dell’anno precedente, in cui si collocava al 17esimo posto». Gli Usa, che segnano 532,8 milioni di euro, si confermano al secondo posto per il terzo anno consecutivo, dietro al Qatar nel 2021 e all’Egitto nel 2020. Al terzo posto si colloca la Germania con 407,2 milioni di euro, in crescita rispetto ai 262,6 milioni del 2021. Al quarto il Qatar con 255,7 milioni. Nella fascia tra i 100 e i 200 milioni di euro ci sono Singapore, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Kuwait, India.

Ottimi affari, insomma, per i primi 15 operatori italiani del settore, che hanno conseguito autorizzazioni all’esportazione nel 2022, così come da elenco della Relazione. Con buona pace del rispetto dei diritti umani.