Il cancro del polmone della Terra: 11 miliardi di dollari a progetti fossili in Amazzonia

Malgrado impegni privati, dati scientifici e obiettivi pubblici, le grandi banche continuano a puntare sulle fossili. Anche in Amazzonia

Ilaria Ghaleb
Da otto banche sono arrivati 11 miliardi di dollari in soli 15 anni a progetti fossili in Amazzonia © J Brarymi/iStockPhoto
Ilaria Ghaleb
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JPMorgan Chase, Itaú Unibanco, Citibank, HSBC, Banco Santander, Bank of America, Banco Bradesco e Goldman Sachs. Queste otto banche, da sole, hanno concesso 11 miliardi di dollari a sostegno di attività di sfruttamento di petrolio e gas nella foresta amazzonica. E ciò soltanto negli ultimi 15 anni, a partire dal 2009. Il che equivale al 55% del totale di 20 miliardi complessivi che sono arrivati alle aziende fossili che operano nel più grande “polmone verde” della Terra. 

In vetta alla classifica l’americana JPMorgan Chase

A riferirlo è un’analisi intitolata “Capitalizing on Collapse”, curata dallo Stand.earth Research Group e rilanciata dalla rete Bank Track. Si tratta, da un punto di vista geografico, di sei banche con sede negli Stati Uniti (o che operano attraverso divisioni di loro proprietà sul territorio americano) e due in Brasile

A spiccare, però, è JPMorgan Chase, che risulta in cima alla classifica, con il 10% dei finanziamenti diretti (1,9 miliardi di dollari). Contribuendo così ad alimentare la drammatica deforestazione che colpisce l’Amazzonia. Tanto da portarla ad un punto di non ritorno, secondo analisi scientifiche. Con il duplice effetto, da un lato, di ridurre l’assorbimento della CO2 presente nell’atmosfera. E, dall’altro, di contribuire a produrre combustibili fossili, il cui utilizzo aumenta proprio le emissioni di gas ad effetto serra. Senza dimenticare l’inquinamento ambientale prodotto da decenni di gas flaring e da sversamenti di petrolio. Con tutto ciò che ne consegue in termini di distruzione degli ecosistemi, di rischi per la salute umana e per la biodiversità

Finanziate anche alcune “bombe climatiche” in Amazzonia

Le banche in questione, secondo il rapporto, non hanno neppure evitato quelle che vengono definite “bombe climatiche”. Ovvero progetti che potenzialmente possono comportare un impatto devastante in termini di aggravamento della crisi climatica. Uno di questi è il Parnaiba Gas Complex, che si stima possa causare la dispersione nell’atmosfera, lungo il suo intero ciclo di vita, pari a 2 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio. Valori che sono del tutto incompatibili con gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale, in particolare in termini di limitazione del riscaldamento globale.

Come noto, infatti, l’Accordo di Parigi punta a limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali, e rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Ad oggi, l’aumento risulta già superiore ad 1,1 gradi. E le conseguenze, ad esempio in termini di aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi, sono sotto gli occhi di tutti.

Dalle banche informazioni finanziarie troppo poco trasparenti

Il rapporto, inoltre, punta il dito contro l’opacità delle informazioni finanziarie a disposizione, nonché gli standard ambientali e sociali su cui si basano le policy bancarie. Essi, sostengono gli autori, «possono creare le condizioni per flussi finanziari a vantaggio di produzioni fossili, anche nel caso in cui quelle stesse banche abbiano assunto impegni formali in termini di tutela del clima, dei diritti umani e della biodiversità». 

Tenuto conto delle quantità di capitali in gioco, il ruolo delle banche è cruciale. Se la finanza non cambierà le proprie scelte strategiche, da subito, la crisi climatica rischia di diventare irreversibile. «Il ruolo degli istituti di credito è in questo senso critico – spiega Angeline Robertson, dello Stand Research Group -. Seguendo le linee guida dell’International Energy Agency, non dovrebbero più esserci nuove produzioni di petrolio e gas se vogliamo tentare di centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi. Le banche, però, continuano a finanziare l’espansione delle fonti fossili. Anche nella più grande foresta pluviale del mondo».