Gli artisti contro l’intelligenza artificiale: «È la più grande rapina della storia»

L'intelligenza artificiale ruba il lavoro agli artisti, usando (senza consenso) le loro stesse opere. Lo afferma una lettera aperta

Caterina Orsenigo
Mille artisti hanno firmato una lettera aperta in cui esprimono posizioni molto dure sull'intelligenza artificiale © scyther5/iStockphoto
Caterina Orsenigo
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Da quando sono apparse nelle nostre vite tecnologie come ChatGPT e Midjourney, domande, fascinazione e timori hanno accompagnato dibattito pubblico e chiacchiere al bar. Saranno ottimi assistenti, come già è successo con strumenti come Google Translate o DeepL per i traduttori, o invece ruberanno il lavoro? Che fine faranno giornalisti, illustratori, professionisti della comunicazione, informatici? Ci sarà ancora bisogno degli artisti? Ci sarà ancora bisogno degli esseri umani? Come si distingueranno le immagini e notizie inventate da quelle reali? Lo stesso Elon Musk ha definito a più riprese l’intelligenza artificiale come un «profondo rischio per la società e l’umanità», se non sottoposta ad adeguate norme e controlli.

Ma c’è un’altra questione che sta a monte e che in Italia è finora meno dibattuta. Come vengono “nutrite” le AI? Con quale materia prima vengono alimentate e addestrate affinché imparino a imitare il linguaggio umano, tanto da spaventare persino un pioniere del deep learning come Geoffry Hinton e spingerlo a lasciare il suo ruolo in Google proprio per poter denunciare pubblicamente i pericoli a cui andiamo incontro?

Cosa dice la lettera aperta degli artisti

Lo racconta una lettera aperta pubblicata online a maggio 2023 da 1.000 intellettuali e artisti. A capo dell’iniziativa c’è la scrittrice, artista e attivista Molly Crabapple – vincitrice di premi e riconoscimenti sia come giornalista che come artista – insieme al Center for Artistic Inquiry and Reporting. E poi editori, giornalisti, autori, fumettisti, illustratori, filosofi.

La lettera mette in luce una questione complessa perché finora non regolamentata: per addestrare una piattaforma come Midjourney, infatti, servono dataset che contengono un’enorme quantità di immagini. Alcune provengono dalla storia dell’arte. Altri milioni e milioni di immagini invece sono attuali, protetti da copyright, e vengono presi dal web senza chiedere il consenso degli artisti né tantomeno prevedere un compenso. Gli stessi artisti che rischiano di perdere il lavoro, schiacciati dalla concorrenza sleale di strumenti velocissimi e a bassissimo costo come questi. «Le multinazionali dell’AI sono pronte a distruggere i mezzi di sostentamento degli illustratori e per farlo utilizzano immagini rubate agli illustratori stessi» ha scritto Crabapple in un comunicato.

L’intelligenza artificiale funziona per imitazione

L’intelligenza artificiale funziona per imitazione. Quando chiediamo di realizzare un’immagine, l’applicazione pesca da un dataset che in qualche modo è la sua memoria, il suo bacino di informazioni, e cerca le figure che più si avvicinano alla nostra richiesta. Lo stesso vale per esempio per i Large Language Model (grandi modelli linguistici) come ChatGPT che hanno imparato – tramite esercizi, errori e correzioni – a capire come creare frasi di senso compiuto, poi interi testi, fino a complesse dissertazioni o racconti di finzione.

Ovviamente più sono ampi questi dataset, migliore sarà il risultato. Se ci fossero solo immagini o testi di artisti fuori diritto d’autore, avremmo strumenti con un linguaggio e un immaginario molto antiquati. Ecco quindi che nutrirsi dei contemporanei è fondamentale.

Ne scrive anche Naomi Klein, anche lei firmataria della lettera aperta, in un articolo uscito sul Guardian e ripreso da Internazionale. «Davanti ai nostri occhi le aziende più ricche della storia (Microsoft, Apple, Google, Meta, Amazon) stanno mettendo le mani su tutta la conoscenza umana disponibile gratuitamente in digitale e la stanno utilizzando per scopi privati, rinchiudendola in prodotti di loro proprietà. Molti dei quali danneggeranno le persone che, senza dare il consenso, hanno addestrato le macchine con il lavoro di una vita». Si tratta insomma di un immenso quanto invisibile furto, il più grande mai visto nella storia dell’arte.

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Illustratori, sviluppatori e artisti forniscono la materia prima all’intelligenza artificiale ma non vengono remunerati per questo © Filmstax/iStockphoto

C’è anche chi fa causa alle grandi aziende tech

Si parla di “rapina alla luce del sole” e sono già diversi gli artisti intenzionati a portare in tribunale le grandi aziende dell’AI. La prima causa è stata depositata a gennaio al tribunale di San Francisco contro Midjourney, StabilityAI e DeviantArt, accusati di aver violato i diritti di proprietà di migliaia di artisti. Anche perché, se è vero che le AI generative non “inventano” niente di nuovo, l’imitazione invece è per definizione la loro cifra. Sono quindi in grado di ricreare disegni o videogiochi simili a esempi già esistenti, defraudando così gli artisti che hanno impiegato anni per trovare il proprio stile.

Come si legge nella lettera, «l’arte dell’intelligenza artificiale generativa è vampirica, banchetta con le passate generazioni di opere d’arte e succhia la linfa vitale dagli artisti viventi».

Come sempre succede, la legge insegue la realtà. Lo sostiene anche Claudio Riccio, creative strategy e docente Istituto Europeo di Design, esperto di AI. Al di là dell’autorialità, spiega, sarà sempre più difficile distinguere il falso dal vero; a maggior ragione nel contesto dei social media, dove il tempo di osservazione dedicato a un’immagine è sempre brevissimo. Tutto questo andrà normato ma, in qualche modo, forse siamo ancora in tempo. Più difficile sarà difendere la proprietà intellettuale di artisti e programmatori. Buona parte del danno qui è già stata fatta e fare marcia indietro è sempre molto complicato.